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Panleucopenia felina (FPV)

La panleucopenia felina (o parvovirosi o gastroenterite infettiva) è tra le prime cause di mortalità nei cuccioli (fino al 90%) e soggetti giovani (fino al 75%) in canili e gattili a causa della forte infettività e resistenza ambientale del patogeno nonché delle carenze strutturali nelle misure di disinfezione / isolamento / profilassi (vaccinazione) che, in molti casi, caratterizzano queste strutture.

In ogni caso tutti i gatti non vaccinati sono a rischio e non esiste una cura specifica.

Eziologia ed epidemiologia


La panleucopenia è causata da virus della famiglia Parvoviridae, non envelped , a DNA monocatenario . I virus di questa famiglia sono causa di importanti malattie non solo in cani e gatti ma anche in diverse altre specie quali maiali, visoni, polli, topi, ecc. nonché nell’uomo (parvovirus B19, quinta malattia).

I virus di questa famiglia sono caratterizzati da una grande resistenza nell’ambiente e dal fatto di potersi replicare solo nella fase S del ciclo cellulare : caratteristica che ne spiega il tropismo età-dipendente (cuccioli, età prenatale) e verso tipi cellulari ad alto indice mitotico quali le cellule emopoietiche e della mucosa intestinale.

Il parvovirus è un virus non enveloped, con struttura a icosaedro di 18-26 nm di diametro e un genoma a DNA monocatenario (ssDNA). Il virus (FPV, CPV) lega il recettore per la transferrina e l’adsorbimento avviene per endocitosi clatrina-mediata (1). Il virus riesce poi ad evadere dagli endosomi (grazie ad una fosfolipasi) e, secondo diverse evidenze(2) riesce ad entrare intatto nel nucleo (con il capside).

La replicazione avviene nel nucleo quando la cellula si trova in fase S, quando cioè la cellula sintetizza quegli enzimi necessari alla replicazione del DNA che il virus non porta con sé né dispone dei geni per sintetizzarli. La DNA polimerasi cellulare replica il ssDNA virale a formare un dsDNA intermedio che, attraverso il meccanismo dello splicing alternativo viene poi usato per la trascrizione di diversi mRNA che andranno a sintetizzare le proteine virali. Il genoma viene replicato con un meccanismo complesso (rolling-hairpin)(3) i cui dettagli non sono del tutto chiariti. I nuovi ssDNA possono nuovamente essere convertiti in dsDNA che servono come template per successive trascrizioni/replicazioni oppure incapsulati e rilasciati innescando il ciclo litico della cellula.

Esistono due varianti del virus che causano la panleucopenia nel gatto: il Feline Parvovirus (FPV) e alcune varianti del Canine Parvovirus (CPV), in particolare CPV-2a, 2b e 2c. La stragrande parte delle infezioni che interessano i gatti sono causate dal FPV (95%) e la restante parte dalle diverse varianti del CPV. È importante sottolineare questo fatto per via del rischio di trasmissione da cane a gatto e per il fatto, che anche gatti asintomatici possano essere importanti escrettori del CPV(4). Il FPV ha un basso tasso di replicazione nel cane: si replica solo nei tessuti linfoidi ma non nell’intestino, non c’è escrezione né malattia conclamata. Quindi c’è il rischio di trasmissione da cane a gatto ma non da gatto a cane.
La trasmissione interspecie non è usuale ma è possibile tramite varianti del CPV-2 (non del FPV) che possono infettare sia cani che gatti. È quindi sempre opportuno tenere separati cani e gatti a rischio o sintomatici.

Il FPV è un virus estremamente stabile, capace di sopravvivere fino a un anno nell’ambiente casalingo; all’esterno può sopravvivere dai 5 ai 10 mesi anche se la stagione calda e secca ne favorisce l’inattivazione. È fondamentale ricordare che il virus può essere trasportato da un ambiente all’altro tramite scarpe, vestiti o toccando un gatto infetto con le mani. Quindi, oltre a lettiere e ciotole dedicate, un gatto con panleucopenia (o sospetto tale) deve essere sempre maneggiato con guanti, si deve entrare nell’ambiente indossando camici e sovrascarpe monouso. Il virus è resistente ai comuni disinfettanti come a prodotti quali ammonio quaternario, alcool, fenoli, ecc. in quanto i disinfettanti organici sono del tutto inefficaci con i virus non enveloped (i disinfettati organici attaccano l'envelope lipidico). Il parvovirus viene inattivato solo con sodio ipoclorito al 5.25% (candeggina(5)) e con altri prodotti di più difficile reperibilità (formaldeide, idrossido di sodio, ecc.); il Virkon-S®, un disinfettante a base di perossimonosolfato di potassio, è riconosciuto essere efficace su FPV e altri importanti patogeni(6). Il virus della panleucopenia può essere inattivato anche col calore a non meno di 90°C per 10 minuti (quindi una “passata” con i comuni strumenti di pulizia a vapore non serve a nulla).

Coloro che hanno avuto un gattino morto di panleucopenia (o presunta tale), proprio per le difficoltà di disinfezione, non devono accogliere in casa alcun nuovo gatto se non si è certi che abbia una copertura vaccinale effettiva(7).

Il virus della panleucopenia è ubiquitario in virtù della sua infettività e della sua grande capacità di sopravvivere nell’ambiente. Si sospetta che la trasmissione possa avvenire anche attraverso pulci e altri insetti vettori. Virtualmente tutti i gatti suscettibili vengono esposti al virus nel primo anno di età tant’è che il 75% dei gatti non vaccinati (sopravvissuti e/o con infezione subclinica) presenta titoli anticorpali protettivi. Gli anticorpi materni (MDA) forniscono una protezione efficace fino all’ottava settimana, dopodiché, per la loro naturale decadenza, tra l’ottava e la dodicesima settimana, si apre una finestra in cui non si ha più una protezione efficace ma il titolo è ancora sufficientemente alto da interferire con la vaccinazione.

Questo gap di immunità tra il secondo e il terzo mese di vita è la ragione per cui, in condizioni non di rischio, si consiglia di vaccinare al quarto mese. Durante questo periodo gli anticorpi presenti in circolo non sono in grado di contrastare un’infezione ma possono inattivare gli agenti antigenici presenti nel vaccino rendendolo così inefficace. In condizioni di rischio (gattili, multicat environments) è però possibile vaccinare dalla quarta-sesta settimana (anche con vaccini MLV) ripetendo la vaccinazione ogni 2-3 settimane fino al compimento dei 4 mesi dopodiché si inizia il normale protocollo vaccinale.
I vaccini in uso si distinguono, anche, in base all’infettività:

  • Vaccini non infettivi: inattivati o uccisi: i virioni vengono inattivati con procedimenti chimici e/o fisici; generalmente contengono adiuvanti in quanto hanno scarsa antigenicità ma, non essendo in grado di replicarsi nell’organismo e quindi indurre la malattia, sono indicati in soggetti immunodepressi e in gravidanza. I vaccini inattivati richiedono sempre dosi multiple e hanno un DOI (durata dell’immunità) inferiore rispetto agli MLV. A questa categoria appartengono anche i vaccini a subunità (contengono solo specifici antigeni). I vaccini ricombinanti, in cui viene usato un vettore geneticamente modificato per esprimere un antigene virale non possono essere considerati infettivi in quanto l'agente virale (canarypox virus), seppure vivo, non ha la capacità di riprodursi nelle cellule dei mammiferi.
  • Vaccini infettivi: vivi attenuati (MLV – Modified Live Vaccine): si tratta di virus vivi resi scarsamente capaci di replicarsi nell’ospite; ciò si ottiene con ripetuti passaggi in diverse colture cellulari o con altre tecniche che ne limitano la virulenza. Questi vaccini mantengono forte antigenicità, hanno scarsa capacità di replicazione ma possono (teoricamente) indurre una blanda infezione subclinica senza causare alcun danno tissutale o segno clinico della malattia. I vaccini vivi attenuati conferiscono una protezione di più lunga durata, generalmente non contengono adiuvanti e, nei soggetti privi di MDA (oltre i 4 mesi) possono risultare protettivi anche con una singola somministrazione.

Il virus della panleucopenia è particolarmente diffuso nelle colonie e nei gattili ma sono stati segnalati dei casi anche in allevamenti di "alto livello" con madri vaccinate. Non ci sono quindi casi o circostanze in cui si possa prescindere dalla vaccinazione.

L’escrezione del virus avviene attraverso tutti i fluidi corporei durante la fase acuta della malattia ma soprattutto attraverso le feci e continua per un periodo di 4-6 settimane dopo la guarigione clinica.

Un gattino sopravvissuto alla panleucopenia non può essere dato in adozione in una casa in cui ci siano altri cuccioli o gatti adulti non vaccinati in quanto resta contagioso per un periodo di 4-6 settimane. Anche se non ci sono altri gatti o i gatti sono vaccinati, l’adottante deve comunque essere informato in quanto il gattino, seppur guarito, contamina la casa dell’adottante e, per via della lunghissima persistenza del virus nell’ambiente rende il posto inadatto all’accoglimento di altri gatti non coperti dal vaccino.

La panleucopenia è una malattia virale caratterizzata da altissima morbilità e mortalità specialmente tra cuccioli e gatti giovani. L'agente eziologico della panleucopenia felina è il FPV ma i gatti possono essere infettati anche da varianti del CPV (il parvovirus canino). Il parvovirus può sopravvivere fino ad un anno nell'ambiente; è facilmente trasmissibile (anche attraverso scarpe e vestiti) e non viene inattivato dai comuni disinfettanti ma solo da candeggina (concentrata) e da prodotti appositi.
Va ricordato che anche i gatti asintomatici possono essere escrettori del virus e che un gatto che ha superato la malattia resta sicuramente escrettore, e quindi contagioso, per almeno 4-6 settimane.

Patogenesi


Il parvovirus, che colpisce tutti i membri della famiglia Felidae, può replicarsi solamente durante la fase-S(8) del ciclo cellulare in quanto ha necessità di utilizzzare le proteasi della cellula per duplicare il proprio genoma e avviare così il processo di replicazione. Perché l’infezione abbia successo il virus deve riuscire ad infettare tessuti in rapida riproduzione (alto indice mitotico) quali i tessuti linfoidi, il midollo osseo e le cripte della mucosa intestinale.

Il virus inizia la sua replicazione nei tessuti linfoidi dell’orofaringe e nell’arco di 2-7 gg si diffonde a tutto l’organismo, privilegiando i tessuti con forte attività mitotica. Nei tessuti linfoidi e nel timo provoca un forte abbattimento dei linfociti T (cellule effettrici dell’immunità cellulo-mediata). Gli studi con gatti SPF e ancora più marcatamente con soggetti germ-free(9) hanno evidenziato segni clinici meno severi rispetto a quelli riscontrati attraverso infezioni sperimentali su gatti “normali” il che suggerisce la presenza di cofattori patologici nelle infezioni naturali come risultato dell’azione del microbioma che stimola la proliferazione delle cellule epiteliali intestinali favorendo così la replicazione virale. Coinfezioni che coinvolgono l’apparato GI accrescono la severità dell’infezione da FPV. Le lesioni a carico del colon sono meno marcate rispetto a quelle che si riscontrano nel piccolo intestino ed in particolare nel digiuno ed ileo rispetto al duodeno.
Il duodeno è la prima parte del piccolo intestino (o intestino tenue), quella connessa allo stomaco cui seguono digiuno ed ileo; il colon è l'ultima parte del tratto intestinale che termina nell’ano dove c’è una minore presenza di flora batterica. I gatti affetti da panleucopenia sono suscettibili ad endotossiemia dovuta all’azione di batteri enterici che a sua volta può essere causa di CID .

Infezioni uterine precoci possono essere causa di aborti e morte del feto; quando l’infezione avviene nella fase avanzata della gestazione si possono avere effetti diversi sui cuccioli di una stessa cucciolata. Gli organi più colpiti sono il CNS, il midollo spinale, il nervo ottico e la retina; le più comuni lesioni del CNS riguardano il cervelletto(10) (ipoplasia cerebellare) in quanto questa parte del cervello si sviluppa nell’ultima fase della gestazione e nel primo periodo di vita. In particolare sono colpite le cellule del Purkinje presumibilmente perché esprimono il recettore per la transferrina che è usato dal virus per la penetrazione nella cellula.

Il parvovirus ha la caratteristica di potersi replicare solo nelle cellule in rapida riproduzione in quanto necessita di enzimi che la cellula esprima durante la fase replicativa. La replicazione inizia nei tessuti linfoidi orofaringei e nell'arco di alcuni giorni si diffonde a tutto l'organismo privilegiando le cellule enteroepiteliali ed emopoietiche che presentano alta attività mitotica. Causa un forte abbattimeto dei leucociti oltre a pronunciati sintomi GI; le coinfezioni batteriche (facilitate dalla leucopenia) aggravano sensibilmente il quadro clinico.
Il PFV può causare aborti o lasciare danni neurologici di diversa entità nei cuccioli.

Segni clinici e diagnosi


Il fatto che si registri un’alta prevalenza di un titolo anticorpale protettivo anti-FPV nella popolazione felina fa presumere che vi siano molti più soggetti affetti da forme subcliniche, o che siano entrati in contatto con il virus ed abbiano superato l’infezione, di quanti siano i gatti che manifestano segni clinici della malattia. Segni clinici severi sono “la regola” in gatti giovani e non vaccinati (la maggiore morbilità e mortalità si colloca tra i 3 e i 5 mesi). Nella forma iperacuta, che porta a morte entro 12-24 ore (shock settico, ipotermia, coma) non ci sono segni premonitori. Nella più comune forma acuta, i primi sintomi sono ipertermia (40-41°C), depressione ed anoressia per alcuni giorni; seguono episodi di vomito non correlati con i pasti, disidratazione; la diarrea, a volte con sangue, non è sempre presente e solitamente compare più avanti nel corso della malattia. Il medico può rilevare anomalie intestinali alla palpazione, ingrossamento dei linfonodi mesenterici ma non di quelli periferici; petecchie, ecchimosi e ittero possono essere riscontrati in presenza di CID, anche se rari malgrado marcata trombocitopenia. In fase terminale subentra ipotermia. I gatti che non incorrono in complicazioni fatali entro i primi 5 giorni hanno una prognosi più favorevole.

I cuccioli che contraggono l’infezione dalla madre in utero o nelle primissime ore di vita solitamente presentano atassia, incoordinazione, ipermetria , tremori e un caratteristico modo di “picchettare” il cibo: tutti sintomi indicativi di un danno cerebellare e non mentale. Come già accennato questi sintomi non interessano necessariamente tutti i gattini di una stessa cucciolata e, con lo sviluppo possono diminuire di intensità. Questi gattini con segni neurologici presentano solitamente anche degenerazioni della retina all’esame del fondo oculare; non sono infettivi per gli altri gatti(11) e spesso riescono a vivere una vita del tutto normale pur presentando degli handicap più o meno significativi.

In caso di sospetto di panleucopenia è fondamentale arrivare ad una diagnosi, anche se presuntiva, nel minor tempo possibile: questo specialmente nelle comunità (cliniche comprese(12)) o qualora si debba introdurre un soggetto in un ambiente dove sono presenti altri gatti (cuccioli o adulti) non vaccinati. In ogni caso, anche in assenza di riscontri, è bene adottare un atteggiamento “iper prudenziale” quando non si conosce la storia clinica dell’animale. Sicuramente non si possono aspettare i giorni necessari ad una diagnosi definitiva (attraverso una PCR) prima di prendere provvedimenti.

La leucopenia (WBC < 3-4.000 cell/µl) non è di per sé patognomonica, ma in presenza di altri sintomi, dell’età e degli altri fattori di rischio (ritrovamento, provenienza da un gattile, ecc.) diventa un elemento decisivo per considerare quel gatto “come” affetto da panleucopenia. Inizialmente si rileva neutropenia (dovuta all’infezione del tratto intestinale) e solo successivamente linfopenia (dovuta alla soppressione midollare). È importante, come dato prognostico, valutare l’evoluzione dello stato ematologico a distanza di 24-48h e oltre: un aumento dei neutrofili con spostamento a sinistra è indicativo di un recupero mentre una diminuzione, specie quando la conta totale dei leucociti scende sotto 1000-1.500 cell/µl, è fortemente suggestiva di una prognosi infausta. A livello ematologico si riscontra solitamente una modesta riduzione dell’ematocrito e dei reticolociti mentre la trombocitopenia (piastrine) non è sempre presente. L’esame biochimico non dà indicazioni di particolare rilevanza se non un possibile aumento dell’azotemia dovuta a disidratazione o cause pre-renali, alterazioni di ALT, AST e bilirubina in presenza di un coinvolgimento epatico, ipoalbuminemia e ipokaliemia.
Secondo un recente studio(13) la magrezza/cachessia, una lieve ipotermia, letargia e una leucopenia che si protrae oltre i 3 giorni dal ricovero costituiscono altrettanti fattori prognostici negativi. In particolare, la linfopenia, indipendentemente dal livello, che si protrae oltre i 3 giorni, indica una profonda immunosoppressione che si associa alla probabilità di infezioni secondarie e quindi di decesso. Sempre secondo lo studio citato, ipoalbuminemia, ipokaliemia e trombocitopenia al momento del ricovero non sono associati con la prognosi.

Di grande utilità nella pratica clinica sono i test rapidi (ELISA) sviluppati per CPV(14) ma utilizzabili anche, con buona specificità e accettabile sensibilità, per l’individuazione degli antigeni del FPV nelle feci. La diagnosi “certa” di panleucopenia, oltre che da rilievi autoptici, si ha con PCR su feci, sangue o tessuti e permette l’individuazione del ceppo patogeno. Dati i tempi di lavorazione (solitamente non meno di 3-5 gg lavorativi) e l’evoluzione rapida della malattia la PCR non è indicata per impostare una terapia e tantomeno per attuare le indispensabili misure preventive.

Il parvovirus ha la caratteristica di potersi replicare solo nelle cellule in rapida riproduzione in quanto necessita di enzimi che la cellula esprima durante la fase replicativa. La replicazione inizia nei tessuti linfoidi orofaringei e nell'arco di alcuni giorni si diffonde a tutto l'organismo privilegiando le cellule enteroepiteliali ed emopoietiche che presentano alta attività mitotica. Causa un forte abbattimeto dei leucociti oltre a pronunciati sintomi GI; le coinfezioni batteriche (facilitate dalla leucopenia) aggravano sensibilmente il quadro clinico.
Il PFV può causare aborti o lasciare danni neurologici di diversa entità nei cuccioli.

Trattamenti


Non esiste allo stato nessun farmaco specifico contro la panleucopenia e le uniche possibilità di trattamento si hanno ricoverando l’animale in una struttura ospedaliera attrezzata per praticare le necessarie terapie in condizioni di isolamento. L’obiettivo del trattamento è quello di mantenere in vita il paziente abbastanza a lungo, evitando l’insorgere di batteriemia primaria e secondaria per dare modo alle difese immunitarie di contrastare e sconfiggere l’infezione.

Il sistema immunitario è in grado di contrastare virtualmente ogni tipo di patogeno ma con tempi di reazione diversi: nel caso delle infezioni più comuni è attrezzato per rispondere in tempi molto rapidi (minuti, ore); quando si incontrano per la prima volta altri patogeni serve un tempo più lungo (indicativamente una settimana) per predisporre una difesa efficace. Il sistema immunitario è però dotato di memoria per cui è in grado di ricordare una precedente esposizione ad un determinato patogeno e, in tal caso, a rispondere in tempi molto rapidi a successive infezioni dello stesso patogeno. I vaccini si basano proprio sulla memoria immunitaria e consistono nel “simulare” un’infezione attraverso l’inoculazione di un patogeno reso “inoffensivo” ma in grado di suscitare una risposta immunitaria che poi risulterà protettiva in caso di future reinfezioni “vere”.

Le terapie di supporto in caso di panleucopenia consistono sostanzialmente nella fluidoterapia (endovenosa) per contrastare la deidratazione e mantenere la volemia, nel controllo ed eventuale correzione dell’equilibrio acido-base e della possibile ipoproteinemia, nei controlli ematologici con eventuale trasfusione in caso di grave anemia, nella somministrazione di antiemetici (metoclopramide - Plasil®, maropitant - Cerenia®), nella terapia antibiotica ad ampio spettro (amoxicillina-acido clavulanico) per contrastare la batteriemia conseguente alla distruzione dell’epitelio intestinale provocato dal virus e le infezioni secondari facilitate dallo stato di temporanea immunodeficienza. Specie su gatti di cui non si conosce la storia clinica è consigliabile un trattamento antiparassitario.

È importante che l’animale venga per quanto possibile nutrito con diete altamente digeribili, anche per via parenterale, ovviamente non in presenza di emesi (vomito). Le infusioni di glucosio possono risultare dannose in presenza di sepsi. Può rendersi necessaria la somministrazione di eparina in caso di CID ed è utile la supplementazione di vitamine del gruppo B. Varie fonti riportano che l’utilizzo dell’interferone omega felino possa essere di beneficio ma la sua efficacia non è dimostrata (mentre, stranamente lo è nei cani affetti da parvovirosi). È riportata in letteratura(15) la somministrazione di G-CSF (Granulocyte Colony Stimulating Factor) ricombinanti umani (Neupogen® Filgrastim®) in caso di severa leucopenia conseguente anche a panleucopenia.
L’uso di sieri iperimmuni di origine equina (Feliserin® IDT) può essere di beneficio ma al momento vi sono difficoltà di reperimento; è possibile utilizzare il siero di altri gatti immunizzati(16).

Va ricordato che la prognosi è generalmente più favorevole in relazione all'età (oltre l'anno) e che i trattamenti supportivi, per essere efficaci, devono essere attuati con professionalità, in ambienti e con strutture adeguate. Estremizzando, non ha molto senso illudersi di trattare una panleucopenia con "flebo sottocute".

Contro la panleucopenia non esistono trattamenti specifici ma solo trattamenti supportivi e di cura intensiva (fluidoterapia, antiemetici, alimentazione anche parenterale, eventuale trasfusione, ecc.) oltre alle terapie antibiotiche per contrastare le infezioni secondarie.

Prevenzione


Il virus della panleucopenia è estremamente stabile nell’ambiente e le operazioni di disinfezione sono complesse e raramente risultano totalmente efficaci, specie in ambienti domestici; per questo la prevenzione è allo stato l’unica vera arma di cui disponiamo contro questa malattia e prevenire significa, in primis, vaccinare. Tutti i gatti devono essere vaccinati, anche quelli che vivono in appartamento, proprio perché il virus può essere veicolato anche attraverso scarpe e vestiti accidentalmente contaminati.

La profilassi vaccinale deve essere adattata alle diverse condizioni di rischio. In condizioni “tranquille” i gattini vanno vaccinati intorno ai 4 mesi, va fatto il richiamo dopo 20-25 gg, il richiamo dopo un anno e i successivi ogni 2-3 anni; in condizioni normali le vaccinazioni vanno fatte quando il gatto è in buone condizioni di salute. L’indicazione del richiamo ogni 2-3 anni (e non ogni anno come era pratica corrente fino a non molti anni fa) deriva dal fatto che si è dimostrato che la DOI (Duration of Immunity) per questi vaccini è maggiore di 7 anni(17). La vaccinazione va posticipata qualora il gatto sia sotto terapia con corticosteroidi (soprattutto se ad alte dosi e per lungo tempo); può essere effettuata in presenza di malattie croniche (IRC, ipertiroidismo, diabete mellito) purché stabili mentre va evitato nelle patologie acute di qualunque origine.

Nelle gatte gravide va evitata la somministrazione di vaccini MLV.
Secondo studi risalenti agli anni ’90(18) è sconsigliata la vaccinazione di gatti FIV con vaccini MLV ed è indicato come preferibile l’uso di vaccini inattivati. Da notare però che sono pochi i vaccini inattivati (es. Fevaxyn Pentofel – Zoetis; Fel-O-Vax 3 – Boehringer)(19) presenti in commercio e non sempre di facile reperibilità, inoltre gli attuali vaccini MLV sono stati immersi in commercio parecchi anni dopo gli studi citati per cui è ragionevole presumere che abbiano caratteristiche di maggiore sicurezza ed in ogni caso nelle schede prodotto non sono segnalate controindicazioni in questo senso.

Sui gatti FeLV non sono riportate controindicazioni alla vaccinazione salvo l’indicazione di vaccinare più frequentemente in quanto questi gatti potrebbero non essere in grado di sviluppare una risposta immunitaria adeguata.

Nei contesti a rischio (rifugi, persone che fanno stalli e ovunque ci sia un significativo turnover di animali) si interviene sia sulla tempistica, sia allentando il criterio di “vaccinare solo quando sta bene”: pur restando fermo il principio che non si vaccina un gatto con una sintomatologia importante, in presenza di sintomi minori è preferibile vaccinare comunque in quanto il rischio di contagio è molto maggiore del rischio dell’interferenza del vaccino nella patologia in corso. In termini di calendario vaccinale e in condizioni di rischio si può vaccinare con MLV a partire dalla quarta/sesta settimana, rivaccinando ogni 2-3 settimane fino al quarto mese per via della possibile interferenza con gli anticorpi materni; dopodiché si procede con il protocollo normale.

Qualora sia disponibile, può essere utile una somministrazione di siero immune prima che l’animale entri in rifugio(20) per indurre una protezione immediata; l’effetto del siero immune garantisce una protezione per circa 3 settimane, periodo durante il quale va evitata la somministrazione del vaccino in quanto le immunoglobuline legherebbero gli antigeni virali con produzione di immunocomplessi. Il siero immune commerciale è ottenuto da cavalli e quindi può dare reazioni anafilattiche sebbene siano rare nella prima somministrazione. Purtoppo il siero immune commerciale non risulta al momento disponibile e comunque non ci sono studi/protocolli che suggeriscano una corretta combinazione tra somministrazione del siero immune e vaccino.

Non è superfluo ricordare che tutte le profilassi vaccinali servono a proteggere il singolo quanto la comunità e in quest’ottica è utile considerare la possibilità di vaccinare i gatti randagi in corso dell’intervento di sterilizzazione(21). Fermo restando che non è ottimale somministrare un vaccino ad un animale sotto anestesia, questa modalità è di fatto l’unica concreta possibilità per una profilassi vaccinale sui randagi ed è consigliabile ed efficace soprattutto su soggetti giovani.

I rifugi che ogni anno si trovano ad accogliere anche molte decine di gattini sono “strutturalmente” a rischio per via della mancanza di locali adeguati, di gabbie facilmente disinfettabili, di una adeguata assistenza medica ma anche, spesso, a causa di una scarsa sensibilità dei volontari e degli operatori nella gestione degli animali infettivi o potenzialmente tali. Le epidemie di panleucopenia sono inevitabili anche mettendo in atto tutte le misure necessarie e operando con la massima attenzione ma ciò non deve indurre al fatalismo. Conoscere il problema, imparare i rudimenti di una corretta gestione di queste situazioni dovrebbe diventare patrimonio comune delle persone che meritoriamente operano in questo campo.

Proprio perché la panleucopenia non è di fatto "curabile" è fondamentale insistere sulla prevenzione (vaccinazione) che è l'unica vera arma contro questa malattia. Le misure di disinfezione ed isolamento sono indispensabili anche se complesse e difficili da implementare, ma se non si vuole assistere alle consuete "stragi di gattini" bisogna rifiutare il fatalismo e affontare, per quanto possibile le problematiche di isolamento e disinfezione.

Fonti:

  • Infectious Diseases of the Dog and Cat; C. Greene; 4th Ed.; Elsevier; Chapter 9: Feline Enteric Infections
  • Feline Panleukopenia; K. Hartmann; ABCD guidelines
  • Infectious diseases in shelter situation and their management; Mostl et al.; ABCD; 2017
  • Feline panleukopenia – update on prevention and treatment; K. Hartmann; Thai J Vet Med Suppl; 2017
  • Guidelines for the vaccination of dogs and cats – compiled by the Vaccination Guidelines Group; Day et al.; WSAVA 2016

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